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MEDEA, UNA STREGA. AL TEATRO LITTA DAL 28 FEBBRAIO AL 12 MARZO
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MTM Teatro Litta –  dal 28 febbraio al 12 marzo 2023

MEDEA, UNA STREGA Prima Nazionale

da Euripide

con Salvatore Aronica, Gaia Carmagnani, Filippo Renda, Sarah Short, Alice Spisa

riscrittura e regia Filippo Renda

scene e costumi Eleonora Rossi

direzione tecnica, luci, suono Fulvio Melli

assistenti alla regia Gaia Barili, Gloria Ghezzi

direzione di produzione Elisa Mondadori

produzione MTMManifatture Teatrali Milanesi

Elaborazione dei costumi realizzati dal Corso di sartoria teatrale dell’Accademia Teatro alla Scala

Inserito nel Progetto Cura con il contributo di Fondazione Cariplo

 Una Prima Nazionale, una nuova Produzione MTM Manifatture Teatrali Milanesi

Un atteso debutto e una nuova sfida per il regista e interprete Filippo Renda

Dal 28 febbraio 2023 vedremo in scena al Teatro Litta di Milano, Medea, una strega.

Medea è una tra le più appassionanti e drammatiche tragedie di Euripide, andata in scena per la prima volta ad Atene, alle Grandi Dionisie del 431 a.C. tradotta, reinterpretata e riadattata in moltissime versioni diverse, adesso al Teatro Litta.

Il lavoro sul testo di Euripide desidera mettere in scena il rapporto e il sistema di umiliazioni e violenze che una società conservatrice e verticale costruisce ai danni di una diversa o di un diverso, soprattutto quando la diversità introdotta da essa o da esso risulti potenzialmente sovversiva.

Un sistema che funziona è un ecosistema nel quale ogni elemento costitutivo collabora al sostentamento e alla salvaguardia del sistema stesso: ponendo la lente sulla nostra realtà, il successo di ciò che oggi chiamiamo sistema capitalista dipende anche dall’aver allevato negli individui che lo costituiscono l’illusione di poter imbrigliare il sistema e di poterlo sfruttare secondo il proprio tornaconto: in effetti, tutte le azioni (o gli investimenti) che operano questi individui non servono a nessuno, se non alla tutela del sistema stesso.

Nel corso degli ultimi decenni, poi, il sistema capitalista è diventato talmente raffinato da aver eliminato ormai quasi del tutto la figura dell’outsider, quella figura cioè che mostri al mondo con la propria vita e con le proprie scelte un’alternativa allo status Quo. Anche l’artista, un tempo figura ai margini, squallida, pericolosa, insomma un ottimo cattivo esempio, si è adeguato al capitale e rincorre carriera e successo con la stessa foga di un broker finanziario. Anche a causa della scomparsa dell’artista come outsider è ormai in definitiva via di estinzione l’utilizzo e la ricerca di linguaggi simbolici: tutto il mondo viene guardato attraverso gli occhiali critici e antiromantici tipici del post-moderno e della cultura del meme.

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Ecco allora la necessità e il desiderio di raccontare la parabola di Medea, outsider, sovversiva e trascinata in un mondo che, avendone paura (giustamente), trova come unica cura alla propria angoscia la mortificazione prima, e la deportazione dopo della donna definita da tutte e tutti strega.

In uno degli ultimi articoli scritti prima di salutare la vita, Mark Fisher denunciava la caccia alle streghe che la società occidentale, soprattutto quella parte più intellettualmente esposta, opera ai danni di un pensiero che esca da ciò che è moralmente conforme: la lettura di questo documento, che si chiude con la speranza di una nuova prospettiva di classe, mi ha commosso, facendomi domandare come io stia posizionando il mio lavoro all’interno della comunità in cui vivo.

Medea, una strega è il desiderio di rispondere a questo interrogativo.

Sinossi:

Medea, nell’immaginario collettivo, è colei che ha ucciso i propri figli. È la straniera che, non compresa, è costretta a un gesto estremo, contronatura.

Nel 318 d.C. l’imperatore romano Costantino decide di sanzionare l’infanticidio come crimine. Prima di allora la vita di un infante dipendeva dall’insindacabile volontà del padre, che poteva crescerlo come proprio o rifiutarlo facendolo esporre o affogare.

Anche in legislazioni più antiche, quella di Licurgo a Sparta e di Solone ad Atene, era consentito ai padri l’esposizione dei figli (che quasi sempre equivaleva alla loro uccisione). La norma si inseriva perfettamente in un sistema patrilineare nel quale le famiglie meno abbienti potevano facilmente sbarazzarsi delle figlie femmine e non dover così provvedere a procurare loro una dote.

Alla luce di queste informazioni storiche, il figlicidio di Medea che ancora oggi ci scandalizza acquisisce una nuova luce: nella Grecia del VI secolo a.C. lo scandalo non è provocato dall’infanticidio ma dal fatto che sia una donna ad appropriarsi della linea filiale; lo stesso gesto agito da un padre non avrebbe sortito lo stesso effetto. D’altronde Eschilo aveva già dichiarato nell’Orestea, per bocca di Apollo, che la madre non genera il figlio, ma nutre soltanto il seme del padre, unico generatore.

Entrando nel mito, e quindi in un processo fatto di tradizione e di varianti, Medea, innamorandosi di Giasone, decide di trasferirsi nella “civile” Iolco e poi a Corinto, e di abbracciare usi e leggi che si reggono ideologicamente su un recente culto di tendenza, quello olimpico che vede in Zeus-padre il nuovo riferimento.

La Colchide dalla quale proviene Medea e nella quale è stata sacerdotessa è legata a un credo più antico, basato sul culto della Triplice dea (o Dea Madre); in altri luoghi nei quali resiste questo culto, le Grandi Sacerdotesse non riconoscono alcun padre della propria prole e sacrificano alla dea tutti i figli maschi, crescendo e allevando come ninfe unicamente le figlie femmine.

Medea rimane intrappolata così nella civiltà patriarcale greca, nella quale una moglie può divenire concubina o perdere i propri figli se la cosa è utile. Ma nel momento più buio della propria esistenza decide di riappropriarsi del proprio corpo e del proprio ruolo, riallineandosi al modello matrilineare. La sua non è un’azione disperata ma un gesto politico.

La sua rivoluzione verrà ripresa da tutte quelle donne che decideranno di non concedere il proprio corpo al sistema patriarcale trasformando sé stesse in un campo da arare (quando un greco si sposava, il padre della sposa pronunciava la formula tradizionale: “Ti do questa donna per l’aratura di figli legittimi” e Sofocle, nella sua Antigone, dice per bocca di Creonte: “anche i campi di altre donne ci sono, da arare”), e che per moltissimi secoli verranno chiamate streghe, torturate e brutalmente uccise.

“Medea, una strega” è una liturgia nella quale gli artisti sono medium in grado di rievocare, attraverso il rito, una tradizione antica più di tre millenni, fissata nel logos in una delle sue varianti da Euripide nel 431 a.C.; è un processo simbolico nel quale il desiderio principale di chi occupa la scena è quello di creare legami col pubblico dell’oggi attraverso pratiche e racconti antichi; è un’opera di abolizione rituale del Logos e di liberazione del Mythos.

Note di Regia

Medea, una strega è un viaggio attraverso il Mistero; non quello che anima il testo di Euripide, che per primo fa compiere alla donna della Colchide il gesto estremo del figlicidio, ma quello più arcaico e realmente impenetrabile del mito del Vello d’oro, mito nato al limitare della fondazione della società dei padri, e che ancora è impregnato di capacità e tendenze che abbiamo imparato prima a disconoscere e poi a cancellare, sostituendo con l’equilibrio e la ragione che hanno fatto da atrio al pensiero occidentale. Il percorso che porterà alla messa in scena di quest’opera consiste in questo, nello sforzo di recuperare codici artistici che non medino messaggi attraverso forme e che quindi non tendano alla tentazione della perfezione; e che piuttosto vengano espressi per celebrare il desiderio di creare legami tra chi sta sulla scena e chi assiste al di fuori di quel quadrato magico.

Per alimentare questo sforzo eliminiamo gradualmente (coscienti di non essere in grado di eliminarli del tutto) tutti gli elementi che concorrono alla formalizzazione, puntando a una parola che sgorghi spontanea e che denudi chi la pronuncia.

Heinrich Seuse ha detto:

Una cosa deve essere ben chiara. È altrettanto dissimile di chi ascolta il soave suono di uno strumento a corda, se paragonata con quella di chi ne sente semplicemente parlare, e le parole ricevute in stato di grazia ed emananti da un cuore vivo attraverso labbra vive, se paragonate alle medesime parole registrate su una morta pergamena… poiché si raffreddano, e impallidiscono come rose sfiorite. Poiché l’amabile melodia che tocca il cuore svanisce.

Filippo Renda

Teatro Litta

da martedì a sabato ore 20.30 – domenica ore 16.30

intero 25,00€ – convenzioni 20,00€, ridotto Arcobaleno (per chi porta in cassa un oggetto arcobaleno) 20,00€, Under 30 e Over 65 – 15,00€, ridotto bicicletta € 15,00; scuole di teatro e Università 15,00€, ridotto DVA 12,00€, scuole MTM, Paolo Grassi, Piccolo Teatro 10,00€, tagliando Esselunga di colore ROSSO, prevendita 1,80€

durata dello spettacolo: 120 minuti

spettacolo inserito in Invito a Teatro

Info e prenotazioni biglietteria@mtmteatro.it – 02.86.45.45.45

Scarica l’App di MTM Teatro e acquista con un clic

 

Abbonamenti: MTM La cura e l’artificio, MTM La cura e l’artificio Over 65, MTM Carta Regalo x2, MTM Carta Regalo x4

 

Biglietti e abbonamenti sono acquistabili sul sito www.mtmteatro.it e sul sito e punti vendita

vivaticket.it. I biglietti prenotati vanno ritirati nei giorni precedenti negli orari di prevendita e la domenica a partire da un’ora prima dell’inizio dello spettacolo.

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Patrizia Gallini
I colori, l’aspetto e i modi sono da nobildonna veneziana, ma le sue origini sono piemontesi. Ha il sorriso affettuoso e sereno di chi si appresta a offrirti il tè con i pasticcini, ma in realtà sta discutendo di business con la fermezza di un panzer. Il suo “buen ritiro” è un antico mulino nel torinese, quando non è “occupato” dai suoi quattro nipotini. Di lavoro fa la P.R. , e naturalmente è il boss della sua agenzia. Per passione frequenta gli chef stellati, ama leggere e segue tantissimi spettacoli teatrali e, naturalmente, ci rende partecipi dei suoi incontri attraverso le nostre pagine.
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