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Il ‘Far West’ degli ambulatori chirurgici
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il 20 gennaio 2018, AdnKronos ha pubblicato questo articolo che volentieri riportiamo. Noi di Cipriamagazine, pur rispettando la libertà di scelta di donne e uomini, abbiamo sempre espresso il nostro parere su interventi di chirurgia estetica secondo noi devastanti e non riusciamo proprio a trovare “belle” e “sempre giovani” moltissime primedonne televisive, ex bellissime attrici nonché giornaliste televisive che esibiscono bocche alla Qui Quo Qua, facce gommate, zigomi tipo palline da tennis, il tutto montato su colli plissé che denunciano chiaramente l’età. Contente loro…..

Ma, al di là di un del tutto personale giudizio estetico, c’è un aspetto molto più preoccupante. Ed è la mancanza, o giungla, della normativa rispetto agli interventi di chirurgia estetica, più o meno invasivi, che molto spesso vengono eseguiti in condizioni igieniche preoccupanti.

Eccovi l’articolo, che riporta la denuncia del chirugo plastico Paolo Santanchè. Leggete qui anche l’intervista di Cipria magazine al dottor Santanchè.

“Ogni giorno, nella Lombardia dell”eccellenza sanitaria’, ma anche in altre Regioni italiane, centinaia di operazioni di chirurgia estetica maggiore vengono effettuate con gravi rischi per il paziente in strutture senza i necessari requisiti di sterilità. Semplici stanze di uno studio medico, idonee a piccoli interventi in anestesia locale associata o meno a una leggera sedazione”, che finiscono invece per ospitare procedure importanti come “l’impianto di protesi al seno o la liposuzione. A volte senza l’anestesista, usando dosaggi massicci di anestetico locale, altre con farmaci che l’anestesista ‘preleva’ senza autorizzazione in ospedali o cliniche”. Teatro del ‘Far West’ “gli ambulatori chirurgici”, una sorta di ‘zona franca’ su cui “lo Stato dovrebbe imporre delle regole nazionali”. E’ l’appello-denuncia consegnato all’AdnKronos Salute dal chirurgo plastico Paolo Santanchè.

AMBULATORI CHIRURGICI – L’esperto segnala “un pericoloso vuoto normativo che riguarda la regolamentazione delle strutture private destinate alla chirurgia”. Da un lato, spiega, “ci sono le case di cura, con le stesse caratteristiche di un ospedale e la possibilità di effettuare qualunque intervento chirurgico e ricoveri anche prolungati. Poi abbiamo le Day Surgery, con sale operatorie simili a quelle di ospedali e case di cura, ma per ricoveri di massimo 24 ore. E infine ci sono gli ambulatori chirurgici, con dotazioni mediche minimali e banali caratteristiche di pavimentazione e rivestimenti. Niente filtraggio dell’aria per la sterilità, né impianti di gas e ossigeno, né attrezzature per la rianimazione”.

Il problema, precisa Santanchè, è che “la legge non norma i tipi di intervento che si possono eseguire in queste diverse realtà; dice soltanto il tipo di anestesia che vi si può effettuare. Ne deriva che l’unico fattore discriminante sono la perizia, prudenza e diligenza del medico. Virtù che certo non appartengono a tutti”. E così può accadere che, “nello stesso luogo dove un minuto prima magari si è medicato un paziente vestito – sostiene lo specialista – un minuto dopo si fa una mastoplastica additiva oppure una liposuzione. Con tanti saluti alla sterilità, e alla perizia, prudenza e diligenza di cui sopra”.

CHIRURGIA ESTETICA – La questione è cara a Santanchè perché “tocca soprattutto la chirurgia estetica, effettuata di norma in regime privato con costi totalmente a carico dei pazienti. Purtroppo quindi, allettati dal grande risparmio, sono molti gli sprovveduti che finiscono per sottoporsi a operazioni importanti negli ambulatori chirurgici. Senza rendersi conto che così risparmiano solo sulla loro sicurezza, assumendosi rischi pesanti”.

Infatti, chiarisce l’esperto, “ci sono casi in cui – non potendo operare in anestesia totale – per risparmiare ulteriormente il medico dell’ambulatorio chirurgico interviene senza anestesista, utilizzando farmaci anestetici locali in super dosaggi che potrebbero comportare pericoli maggiori dell’anestetico generale”. E ci sono “molte altre volte in cui l’anestesista c’è ed effettua anestesie maggiori con farmaci che ‘si procura’ in clinica o in ospedale, anche se negli ambulatori chirurgici non potrebbe usarli”. Ma i controlli? “Anche quando ci sono – risponde Santanchè – si può sempre fare in modo che gli ispettori non riscontrino irregolarità”.

LIPOSUZIONE E PROTESI AL SENO – Tutto questo, insiste lo specialista, “diventa particolarmente pericoloso nei casi di liposuzione – che richiedono alti dosaggi di anestetico locale e adrenalina – e negli impianti di protesi al seno che, oltre a necessitare di ambienti sterili, dovrebbero anche risultare tracciabili. Ma considerato che – come recentemente denunciato all’AdnKronos Salute dal medico e dalla Sicpre (Società italiana di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica) – la legge del 2012 che ha istituito i Registri nazionale e regionale degli impianti protesici mammari resta in gran parte disattesa, la tracciabilità delle protesi dipende esclusivamente dalla conservazione dei tagliandi identificativi degli impianti in cartella clinica. Peccato però che negli ambulatori chirurgici non esiste registro operatorio o cartella clinica”.

“Ritengo che un quadro come questo sia incompatibile con una sanità saggia e responsabile. Ecco perché – conclude Santanchè – lo Stato dovrebbe fissare delle regole nazionali e non lasciare all’arbitrio delle singole Regioni la gestione della sicurezza dei pazienti: un diritto che non può dipendere dalla posizione geografica

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Maruska
Ha una certa età, ha lavorato per quarant’anni nel mondo del beauty, sia dalla parte dell’editoria che da “dietro le quinte”. Ha conosciuto tutti, o quasi, i produttori di cosmetici, i creatori di profumi, le fabbriche dei contenitori e degli imballaggi e tutti, o quasi, i profumieri italiani. Ama moltissimo il make-up, cura la pelle ma senza ossessione
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